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Cosa sono le Piquette?

FlorWine 31 Agosto, 2022

Rievocare il passato: ogni tanto il progresso è girarsi e guardare a ciò che ci siamo lasciati alle spalle, riproponendolo in chiave alternativa.

Ecco quello che sta succedendo nel mondo delle Piquette: non tanto una svolta, quanto una retromarcia ben studiata. Scopriamo dunque cosa sono le Piquette, chiamate in Italia “vini” Acquerello.

The American (wine) dream

Si parte dall’America, dagli States. Certo, non parliamo affatto della patria dei vini naturali o dell’enologia in generale. Anche a livello culturale, gli Stati Uniti di vino ne sanno poco. Ma ne bevono: eccome. Gli Americani, come sempre, battono la concorrenza con una sola imprescindibile dote: la fantasia.

Ecco dunque che a oggi, tra i vini più consumati in America si trovano i non-vini piquette. Ossia? Succo d’uva diluito in zucchero e acqua, dalla beva super dissetante e grado alcolico molto basso. Agli americani piace degustarlo in lattina, e per quanto la cosa possa far storcere il naso a un europeo amante del buon vino, ammettiamo che questa “scoperta” possa avere anche punti di pregio.

I produttori di vini naturali americani hanno così deciso di studiare un modo per produrre Piquet che possano rispondere ai bisogni e ai gusti della popolazione, facendo leva sui lati positivi che questa bevanda dissetante può portare. Precursore di questo nuovo approccio al mondo delle fermentazioni alcoliche è Todd Cavallo, produttore dello stato di New York la cui azienda agricola si chiama Wild Arc Farm. E da loro a noi, il passo è più breve di quanto ci immaginiamo.

Come si comporta l’Italia? Scopriamo meglio cosa sono i vini Piquette e come mai ne sentiremo parlare sempre di più.

Cos’è la Piquette

“Piquette” è un termine francese che deriva da “piquer” che significa letteralmente “pizzicare“, a causa della frizzantezza che contraddistingue queste bevande. La Piquette nasce con il fine di creare una bevanda fresca e dissetante con elementi che altrimenti andrebbero buttati via. C’è chi li chiama “vini annacquati“, e anche se non è proprio così, in effetti il termine è piuttosto calzante.

La Piquette è prodotta dalle vinacce già precedentemente usate per la produzione di un vino. Invece di essere buttate, il vignaiolo decide di pressarle ulteriormente, secondo il principio del “non si butta niente”. Così, ciò che resta di una fermentazione già finita viene spremuto e unito ad acqua e zucchero (qualcuno addirittura aggiunge piccole quantità di miele). Risultato? Parte una brevissima e irrisoria fermentazione, necessaria alla leggera presa di alcol del liquido. In questo modo si otterrà una bevanda lievemente alcolica prodotta dalle bucce delle uve con residui di mosto e vinaccioli. La bevanda viene poi imbottigliata ed è ideale per accompagnare un pranzo conviviale, un picnic o un brunch. Ma allora… perché non si può chiamare vino?

Le Piquette non sono vini

Se dovessimo spiegare in una semplice frase che cos’è il vino, diremmo: succo d’uva fermentato. Semplicistica e riduttiva, chiaro. Ma il principio è questo: l’uva deve fermentare per poter permettere di chiamare una bevanda “vino”. Nel caso delle Piquette, ciò non avviene: l’uva in quanto frutto raccolto e trasportato in cantina non fermenta. Ciò che fermenta è quello che resta dell’uva già fermentata, il lavoro è in mano a quei lieviti residui che non sono ancora completamente estinti e che riescono a compiere il duro lavoro di trasformare ancora un po’ di zucchero in alcol.

I lieviti sono presenti sia in cantina, che sulle bucce e sulle superfici utilizzate per la fermentazione. Certo, il tasso alcolico sarà sempre molto basso perché comunque stiamo parlando di un’uva che ha già subito fermentazione e a cui quindi rimane “poco da dare”. Perciò, il risultato è un quasi-vino che però non può essere inserito nella categoria enologica classica.

L’italia e i “vini” Acquerello

Un trend del genere può prendere piede anche nel nostro paese? Questo ancora non lo sappiamo. Ma, ma, ma. Nel mondo dei vini naturali, ci sono alcuni produttori che stanno provando a sperimentare e creare Piquette artigianali che possano essere all’altezza del buon gusto all’italiana.

Li chiamano “Acquerello“, nome piuttosto significativo nel procedimento che porta alla creazione di questa bevanda lievemente alcolica. La tradizione italiana degli Acquerello è in realtà piuttosto antica, e ci porta fino alle radici dei vini che si bevevano in Toscana durante il lavoro nei campi, i cosiddetti “vin pizol“.

Perché la Piquette non è una scemenza

Siamo i primi ad adorare il mondo dell’enologia tradizionale, portando alta la bandiera dei vini naturali e artigianali. Una rivoluzione del genere ci lascia un po’ dubbiosi, questo è certo. Però, a ben pensarci, la Piquette ha diversi punti a suo favore. Per esempio:

• Rappresenta il risultato di un processo di ri-uso e riciclo. Nel mondo odierno, il concetto del non spreco non può che essere accolto a braccia aperte, soprattutto se il risultato è una bevanda succosa e dissetante.

• Può venire in aiuto a tutte le persone che per questioni di dieta o religiose hanno limitazioni in termini di consumo alcolico.

• I suoi livelli di alcol ridotti ne permettono un uso più “innocuo”, limitando così potenziali problemi derivanti da un consumo eccessivo.

• É piacevole: certo, niente a che vedere con un vino profondo e intenso. Ma è una bevanda succosissima, fruttata, dissetante e con quella bollicina leggera che fa sempre “pru”.

• Si abbina con il cibo in diversi contesti, da un aperitivo al tramonto a un picnic in famiglia, da un pranzo a casa della nonna o un brunch con le amiche.

In Italia i produttori che stanno sperimentando e spingendosi oltre le frontiere della fermentazione alcolica sono ancora davvero pochi. Tra questi, citiamo gli Acquerello Piquette di Alex della Vecchia in collaborazione con Fermentati del Coppe prodotti da uve PIWI. Un vinello piacevole e frizzantino che accompagna la giornata e ci conquista con la sua freschezza d’altri tempi.

 

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