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La fermentazione spontanea nei vini naturali

FlorWine 17 Novembre, 2022

Quando parliamo di vini naturali, la prima cosa che ci viene logico nominare è la spontaneità del processo di produzione di un vino. Pochi apporti umani, uso abolito di chimica, scarse aggiunte (o nulle) di solfiti, e poi, ovviamente: solo fermentazioni spontanee.

Soffermiamoci un attimo su questo termine, e chiediamoci che cosa sia effettivamente la fermentazione spontanea di un vino. Significa che non vengono aggiunti lieviti selezionati? Sì, anche.
Addentriamoci dunque insieme nell’ampio mondo della fermentazione spontanea dei vini naturali, passo dopo passo.

La fermentazione alcolica

Partiamo dall’inizio: se dovessimo spiegare che cos’è il vino, diremmo che è succo d’uva fermentato. Le uve infatti, una volta raccolte e trasportate in cantina, possono subire diraspatura e pigiatura, fino a che non otteniamo un succo, privo o carico di vinacce con o senza raspi, detto mosto. Una volta ottenuto il mosto, però, serve trasformarlo in vino. Come accade ciò? Attraverso una particolare famiglia di funghi unicellulari, i lieviti. I lieviti sono microorganismi che prendono parte, o meglio: permettono la fase di fermentazione alcolica. Grazie agli enzimi prodotti dai lieviti Saccharomyces cerevisiae – il famoso “lievito di birra” – presenti sulle bucce delle uve, il lievito scinde gli zuccheri complessi dell’uva, per poi – in una seconda fase – trasforma gli zuccheri semplici in alcol etilico.

I lieviti nel vino

Ora, una volta capito come avviene il processo fermentativo dell’uva, ci poniamo la prima grande domanda: dove si trovano i lieviti che si occupano della fermentazione alcolica?
Sembra scontato ma non lo è: oltre alla buccia degli acini, come già detto, i lieviti responsabili della fermentazione si trovano in cantina. Per la precisione nelle botti, tra le pareti delle cisterne, sui muri, nelle vasche… insomma, in tutto l’ambiente circostante. Di conseguenza, la cantina, man a mano che passa il tempo, sviluppa un vero e proprio habitat personale, ricchissimo di lieviti diversi e unici. La cosiddetta “biodiversità della folla microbica” permette dunque di valorizzare il più possibile il patrimonio enologico di un produttore.

I lieviti selezionati

A questo punto viene naturale chiedersi: ma se i lieviti sono ovunque – se davvero ci circondano -, al punto che alcuni produttori non permettono a nessuno di esterno di entrare nelle loro cantine, altrimenti rischierebbe di “spostare” il potenziale dei propri lieviti, perché aggiungerli artificialmente? Che di lieviti sia pieno il mondo è una verità assoluta e assodata. Da qui a dire che sia semplice permettere una fermentazione spontanea, be’, non proprio.

I produttori convenzionali che scelgono di aggiungere lieviti selezionati ai propri vini, lo fanno principalmente per rendere il processo fermentativo più veloce e più semplice. Addizionare colture di lieviti e batteri significa in pochissimo tempo accumulare un livello di etanolo tale da coprire le specie microbiche, in altre parole: i sentori dei vini vengono omologati, non permettendogli di esprimersi con il tempo e le modalità che la natura richiede. I lieviti selezionati sono identici a quelli autoctoni indigeni a livello di genetica e metabolismo, ma la loro riproduzione avviene in ambiente controllato. Sono “selezionati” perché con il loro utilizzo non si rischia di danneggiare la qualità del vino. Sono lieviti dotati di un’ottima resistenza alle condizioni ambientali e che non provocano effetti indesiderati. Vengono inoculati nella fase fermentativa e permettono un controllo dell’intero processo.

I lieviti indigeni

I lieviti indigeni sono pericolosi? Sì. O meglio, se si fa uso solo di lieviti indigeni si corrono due principali rischi:

  • I tempi: la fermentazione si ferma, non parte, o rallenta
  • I risultati: il vino rischia di risultare difettato a causa di una fermentazione anomala

Quindi sì, non addizionare lieviti è una partita che pochi sono disposti a giocare. I produttori che decidono di lasciare che le loro fermentazioni avvengano spontaneamente sono coloro che decidono deliberatamente di lasciare che il processo chimico di trasformazione di zuccheri in alcol avvenga in modo naturale, senza aiutini esterni. Le fermentazioni spontanee sono dunque materia di difficile lavoro, che solo i vignaioli più preparati e studiati possono maneggiare, con le dovute attenzioni e cure.

Lasciar lavorare i lieviti indigeni significa condurre una fermentazione che naturalmente potrà rallentare, fermarsi e ripartire con l’aumento delle temperature estive, con il rischio di inficiare il risultato finale. Significa dare al vino il tempo che merita, ma anche e soprattutto permettere il pieno sviluppo del patrimonio organolettico contenuto in una bottiglia e sprigionato nel momento in cui la si apre.

Le fecce fini

Una volta completato il ciclo vitale, i lieviti indigeni precipitano mediante autolisi, e ciò che rimane sono le cosiddette “fecce fini“, responsabili di un ulteriore aumento della complessità di un vino. Le fecce fini sono quei sedimenti che si formano al termine della fermentazione alcolica: in altre parole, sono i lieviti esausti che grazie all’autolisi rilasciano le sostanze aromatiche che percepiamo a livello gusto-olfattivo.

I lieviti selezionati, d’altro canto, impoveriscono il vino perché ne omologano i profumi e i sapori, limitando la naturale espressione di un vitigno e di un terroir. Riuscire a non addizionare lieviti selezionati, a non creare il famoso pied de cuve (il “piede di partenza”, ossia uno starter della fermentazione), e a non controllare le temperature durante la fase fermentativa, significa conoscere il mondo del vino in profondità, al punto di saperne fare una vera e propria arte.

Certo, vinificare artigianalmente e creare vini naturali da fermentazioni spontanee significa prendersi la responsabilità di un errore fuori programma. Ma niente può superare la soddisfazione di un prodotto buono, fatto nel modo giusto.

 

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