Martino Repetto
10 Giugno, 2022
Quando parliamo di vini convenzionali e vini naturali, finiamo sempre per ritrovarci a parlare di solfiti. Un termine tecnico che necessita una spiegazione, onde evitare di creare ancora più confusione.
I solfiti sono sali inorganici prodotti dall’anidride solforosa (SO₂), un gas tossico caratterizzato da un peculiare odore pungente e da una grande solubilità in acqua. In virtù delle sue proprietà antisettiche e antiossidanti, questo composto chimico, noto anche come diossido di zolfo, viene impiegato come conservante sia dall’industria alimentare che da quella vinicola. Dalla frutta essiccata ai crostacei, passando per la senape e i prodotti a base di patate disidratate. Sono numerosi gli alimenti nei quali è possibile rinvenire quantità significative di derivati dell’anidride solforosa. La presenza di solfiti deve essere segnalata nella lista degli ingredienti con codici alfanumerici che vanno da E220 a E228.
Per quanto riguarda l’enologia, i solfiti nei vini naturali e quelli nei vini convenzionali prendono due strade a dir poco diverse. I solfiti, nell’enologia convenzionale, possono essere utilizzati in tutte le fasi della vinificazione nelle quali si verifica un contatto più o meno prolungato tra il vino e l’ossigeno. Come, ad esempio, la fermentazione alcolica, le operazioni di travaso e l’imbottigliamento. Inoltre, l’anidride solforosa viene adoperata anche per sanificare botti, presse e altri attrezzi di cantina, al fine di impedire lo sviluppo e la proliferazione di batteri e microrganismi nocivi per la stabilità dei vini. Grazie all’elevata dotazione di polifenoli che li contraddistingue, i vini rossi necessitano di solfitazioni più blande rispetto ai vini bianchi, maggiormente esposti a fenomeni ossidativi.
Negli ultimi anni si è sviluppato un acceso dibattito scientifico a livello internazionale avente per tema l’opportunità dell’impiego enologico dell’anidride solforosa. Complice di ciò è la crescita di una forte sensibilità sociale su argomenti quali la tutela della salute e l’alimentazione consapevole. Con il Regolamento CE n. 1991/2004, entrato in vigore nel novembre del 2005, l’Unione Europea ha stabilito l’obbligo per i produttori di vino degli stati comunitari di apporre sulle etichette delle loro bottiglie la dicitura “contiene solfiti”, indispensabile per tutti i vini con un contenuto di SO₂ superiore a 10 mg/l.
Nel 2011 i solfiti sono stati inseriti nell’elenco ufficiale degli allergeni dell’UE: la loro assunzione da parte di soggetti sensibili, infatti, può provocare negli stessi diversi sintomi, tra cui asma, dispnea, orticaria e, in casi molto rari, anafilassi. Naturalmente, la legislazione comunitaria stabilisce anche la quantità massima di solfiti ammessa nella produzione enologica.
In occasione di annate particolarmente sfavorevoli da un punto di vista climatico sono previste deroghe ai limiti stabiliti da entrambi i regolamenti.
Nell’affascinante mondo del vino naturale la disputa sull’uso dei solfiti è particolarmente accesa, e vede fronteggiarsi posizioni che vanno dalla totale contrarietà alla cauta apertura. Le più importanti associazioni di vignaioli naturali consentono ai loro membri di effettuare aggiunte di anidride solforosa molto limitate. In questi casi, i valori massimi sono ben al di sotto dei limiti previsti dalla legge per il vino biologico. Per non andare a intaccare le potenzialità espressive dei mosti, la maggior parte dei produttori si affida a fermentazioni spontanee in assenza di SO₂, addizionando una piccola dose di solfiti solo al momento dell’imbottigliamento. Ciò permette di ottenere vini schietti e digeribili, caratterizzati da sensazioni gusto-olfattive straordinariamente originali.
Il vino più tannico del mondo: il Sagrantino di Montefalco
Alice Carpi 22 Febbraio, 2023